Fotografie come strumenti mnemonici per la ricerca della bellezza

 

 

 

Le immagini che cerco sono per me strumenti che isolano frammenti di mondo, nei quali affiorino le forme di una bellezza intimamente temporale.

 

Forme instabili, sempre uguali e sempre diverse, proprio come le nuvole.

 

La bellezza è la dimensione dello spirito nella quale la mente può riposare nella gioia, imparando così ad amare il mondo.

 

Immagini che non cerchino, nel mondo, la bellezza del mondo, non mi interessano.

 

Con la parola "mondo" intendo anche il suo passato. Col quale abbiamo un rapporto che mi appare sempre più distorto: viviamo immersi nel passato, del quale in definitiva siamo il prodotto; eppure tendiamo a ignorarlo, quando non a deformarlo e persino violentarlo.

 

Le serie "Elementi e fregi" e "Meta-glifi"  nascono come reazione a questo oblìo contemporaneo, che riduce le forme e i segni del passato a parole di una lingua ormai incomprensibile.

 

Al contrario di chi pensa che la forma non significhi nulla, io penso che essa significhi, potenzialmente, tutto.

 

 

 

 

 

 

Fotografie come distillati

 

 

 

 

ll termine stesso fotografia, "disegno di luce", mi appare una suggestiva, ma fuorviante metafora ottocentesca.

 

Chi disegna crea immagini soltanto con la propria mente e la propria mano, in un modo sconosciuto al fotografo, il cui procedimento è molto più simile a quello di un raccoglitore-trasformatore della natura che sfrutti fenomeni fisici e chimici.

 

Mi è  più consona un'analogia tra la produzione di foto e il lavoro del contadino, che prima meccanicamente raccoglie e poi chimicamente fa fermentare e distillare la sua uva; e così ottiene, se tutto è andato bene, la grappa che riscalda i cuori.

 

La fotocamera che inquadra è simile alla cesoia che taglia; tino e alambicchi che trasformano gli zuccheri in alcool sono computer e stampanti che modificano e fissano “ad libitum” i colori registrati dalla macchina.